8 settembre
settembre 08, 2025Una settimana in Alto Adige rimette a posto molte cose.
I ritmi sono diversi, il clima è diverso, l’alimentazione è diversa e ci si sente un po’ diversi.
Adoro fare colazione in albergo, è il mio pasto preferito (in generale lo è, ma in albergo ancora di più).
Io sono noiosa e rigida (e lo sapete già) per cui applico pochissime varianti alla mia colazione casalinga: tè, yogurt e pane con marmellata amara (come la vita).
Le varianti prevedono un po’ di frutta secca o musli croccante nello yogurt e magari una marmellata diversa ogni giorno… ma è molto bello vedere cosa prendono le altre persone.
Probabilmente noi eravamo i turisti che provenivano dal punto più a sud tra tutti i presenti, per cui diciamo che la colazione internazionale salata la faceva da padrone.
E io sono sempre affascinata da questi pasti abbondanti fatti di uova, salsicce e formaggio alle 9 di mattina. I più temerari pasteggiavano a prosecco. Alle 9 di mattina.
Ma hey nessun giudizio, se era previsto, significa che è un’abitudine più consueta di quello che possiamo immaginare qui sotto il Po’.
Nella mia settimana di turismo, passeggiate e pranzetti, ho anche letto un po’.
Ho approfittato delle vacanze per potermi tirare a pari con i libri cartacei che a casa non leggo quasi mai perché la luce del mio comodino è più una luce da stadio e fa un po’ effetto sole di mezzanotte.
Ho letto INTERMEZZO di Sally Rooney (che scalpitavo di leggere da mesi) e DUE di Enrico Brizzi.
![]() |
| datemi un balconcino e una brezzolina e vi leggo anche l'enciclopedia britannica! |
Io mi aspettavo che seguisse le vicende di Aidi e Alex adulti e che ci raccontasse come era andata a finire.
Alex è del 1974 e Aidi del 1975, 18 anni nel 1992 e nel 1993.
Mi appartiene tutto, ma è tutt’altro che il presente. È estremamente accurato e specifico e credo che più che la storia in sé mi abbiano attirato i centomila ricordi sbloccati.
Vi faccio un elenco di parole magiche:
traveller’s cheques
Interrail
Gettoni telefonici
Lucchetto al telefono di casa
Fax
Tangetopoli
VHS e audiocassette
Le valute diverse in ogni paese d’Europa.
I rullini delle macchine fotografiche
E ce ne sarebbero ancora e ancora.
Un altro mondo.
Aidi parte per l’America e scrive lettere chilometriche che impiegano 3 settimane ad arrivare, lui risponde e ovviamente passano altre 3 settimane.
Vi ricordate come era scrivere una lettera con la consapevolezza che poteva metterci un secolo ad arrivare (se arrivava) e che avreste comunque dovuto aspettare tanto per ricevere risposta? Come facevamo a gestire l’urgenza e l'attesa?
Aspettare poi produceva altro scritto, che forse un po’ scadeva ancora prima di essere spedito.
Ho aperto proprio in questi giorni la scatola delle lettere e ho pensato a quanto erano belle. Conservavano una formalità e una cura incredibile: si salutava, si chiedeva come si stesse, c’era lo sforzo infinito di riassumere la propria vita in un po’ di righe e si concludeva con l’esortazione a fare in fretta, perché si aveva tanta voglia di leggere. Ci si metteva del tempo. Perché tutto partiva dalla scelta della carta, poi si scriveva, poi si chiudeva in una busta, si andava a comprare un francobollo e poi si cercava una casella della posta, facendo attenzione a imbucare dalla parte giusta.
Era tutto estremamente romantico, visto da qui, dal futuro, dove i tempi e gli sforzi sono ridotti a zero. Quello era veramente tempo dedicato. Non ritagliato.
Io non so più da quanto tempo non scrivo una lettera, ma vi dirò, nemmeno una mail (non la mail al dottore, di lavoro o al servizio clienti), perché al mio approdo al 2000, con l’arrivo in casa del modem a 56k, io scrivevo tantissime mail. Tutte le lettere che scrivevo e imbucavo fino al momento prima di avere una tastiera, erano diventate mail.
Come mi piaceva scrivere lettere. Tante. A tutti.
E ora c’è WhatsApp che è rapido, veloce e indolore. E poi ci sono i vocali che iniziano con: ti mando un vocale che faccio prima… MA PERCHÈ DEVI FARE PRIMA?
E poi scrivevamo i titoli sulle righe del cartoncino tdk o Sony e magari anche una dedica.
Una parte del racconto riguarda il viaggio che Alex fa con due amici in Europa.
È un’Europa nuova, è caduto il muro, ma non è ancora unita e ogni paese ha la sua moneta: i traveller’s cheque erano assegni prepagati che i viaggiatori compravano in banca prima di partire. All’estero si potevano usare come soldi veri: li accettavano in hotel, negozi o ristoranti, oppure si cambiavano in contanti.
Il vantaggio era la sicurezza perchè se li perdevi o te li rubavano, potevi farteli rimborsare mostrando il numero di serie e un documento d’identità.
Ricordo di averli usati nel 1996 quando ho fatto un viaggio in treno con le amiche che prevedeva l’Olanda e il ritorno via Parigi.
Forse li ho usati anche dopo, ma non ricordo di preciso se in Irlanda 3 anni dopo ho usato quelli oppure se avevo già una carta di credito .
So che viaggiavo con uno zaino enorme in cui stavano vestiti per 3 settimane. Non ricordo di aver mai lavato niente, quindi ciò che mi trascinavo verso la fine era sicuramente una bomba radioattiva… me ne sono mai preoccupata? Direi di no!
In Irlanda ho dormito in un ostello con camerate miste, una sera mi sono trovata il letto occupato da un tale che era ubriaco marcio e che aveva sbagliato destinazione, appena avvisato dell’errore è andato nel suo letto, ma il mio era definitivamente contaminato dal suo odore e dalla sua bava. Me ne sono preoccupata? Direi di no, ho preso il mio sacco a pelo (soluzione perfetta per gli ostelli) e sono andata ospite nel letto di un’amica.
Faceva tutto parte dell’avventura.
Io ho fatto il viaggio in treno di ritorno da Benicassim (una ventina di ore almeno) senza mai fare la pipì e dormendo abbarbicata al mio zaino. Una volta a casa mi è venuta una febbre a 40 che vedevo la Madonna e i tutti i Santi (infezione alle vie urinarie? Chi può dirlo?), me lo ricordo come il viaggio più brutto della vita (non solo sul treno, ma proprio dalla partenza), ma credo che sia stata un’esperienza necessaria e magari anche formativa per testare i miei gusti, i miei limiti e la mia capacità di sopportazione.
Se mi avessero chiesto l’anno dopo: si va a fare una vacanza in Spagna a suon di paella e schiuma party?, avrei saputo dire: NEMMENO MORTA con cognizione di causa.
Mia nonna al telefono (quello della cabina) mi diceva: prendi l’aereo e torna, ma io ero completamente bloccata dalle mille questioni tecniche che mi avrebbero messo sull’aereo… oggi sarebbe bastato un click (un po’ di soldi e un click) e ciao a tutti.
La risoluzione dei problemi richiedeva tempo ed energie. Oggi no, basta una buona connessione.

4 commenti
Adoro tutto...gli anni 90, che ero ancora una bambina, quasi adolescente ma avendo due sorelle più grandi ero dentro eccome negli anni 90 soprattutto nelle lettere di amiche lontane e nelle cassette, video e musicassetta (si dice cosi?) ... nostalgia, grazie per questi tuoi scritti sempre emozionanti
RispondiEliminami sono commossa, DEVO leggere questo libro. ti adoro, Serena
RispondiEliminaquanta verità Vale, non voglio fare la nostalgica ma avevamo un'altra percezione del tempo, ricevere una lettera era emozionante solo perchè era riuscita ad arrivare a prescindere da quello che c'era scritto.
RispondiEliminaora se raccontiamo queste cose ai nostri adolescenti sembra che arriviamo dall'era dei dinosauri, che magari è anche vero ma era bello. il libro l'ho aggiunto alla lista dei libri da leggere.
Una mia amica mi scrisse dal mare,per comunicarmi che il ragazzino che mi piaceva le aveva detto che non ero il suo tipo e di non ronzargli intorno ..ci rinasi male ma a pensarci ora erano dei bei periodi,mi sa prima dei mitici '90... Stefania
RispondiElimina