All'inizio di luglio è morto uno dei miei professori di lettere del liceo. Era un'istituzione per tutti (anche perché ha insegnato 40 anni nella stessa scuola, dai suoi 25 anni alla pensione) e ha creato un enorme dispiacere, come è giusto che sia essendo entrato in migliaia di vite.
Questo mi ha portato a parlare con le mie amiche (e compagne di quegli anni) e a rivangare i ricordi legati a lui, ma non solo.
Le riflessioni ci hanno portato a riflettere sul pregiudizio e sulla presunzione che spesso hanno i professori di capire che fine faranno i loro studenti sulla base di quei pochi anni insieme.
Posso serenamente dire di essere stata una studentessa (o in generale un'adolescente) abbastanza invisibile. Mai nessun professore delle superiori mi ha scelta come sua protetta o ha riversato su di me stima e considerazione particolare. So di cosa parlo e come ci si sente a essere quello studente lì, perché invece alle medie ero proprio la super cocca della prof di lettere che mi valorizzava e mi aiutava in tutto.
Tornando al liceo, nessuno ha visto in me un qualche genere di talento: facevo alcune cose bene, altre meno bene, alcune con fatica, altre con impegno e spesso fatica e impegno non andavano a braccetto.
A ripensarci non avevo nemmeno un professore preferito, cioè quello che ti piace un sacco ascoltare e con il quale vai anche bene.
In realtà con il professore che è mancato da poco andavo bene, penso di non aver mai preso una sola insufficienza e di aver imparato moltissimo, ma non era scattata nessuna alchimia.
Ringraziavo il cielo di avere lui e non altri di cui si parlava malissimo nella scuola, ero contenta che ci facesse prendere consapevolezza di molte cose (anche e soprattutto non scolastiche), ma poi finiva lì.
Lontanissima dalla sindrome del CAPITANO MIO CAPITANO.
Ho letto messaggi di cordoglio disperati, gente che aveva aneddoti incredibili e persone piene di gratitudine. Io umanamente dispiaciuta, ma non poi così toccata sul personale.
Mi dibatto tra il rispetto umano e la distanza emotiva.
In seconda liceo (4^ superiore prima della riforma) diciamo che la scuola non era una mia priorità. Non avevo proprio priorità, facevo un po' quello che mi veniva in mente al momento senza un vero e proprio programma (oppure il progetto era dar fastidio ai miei genitori, chi lo sa?) e diciamo anche che non mi sento di consigliarlo.
In ogni caso i miei voti rispetto all'anno precedente erano scesi in modo considerevole, anche se le materie critiche erano solo un paio.
Invece di suscitare preoccupazione o curiosità (ma che le succede?? ad esempio) i professori avevano deciso che andavo punita e quindi mi sentivo dire cose tipo: il tuo compito è purtroppo sufficiente e non riesco a darti l'esame a settembre (cit: prof di matematica e fisica).
Il professore di cui sopra è riuscito a leggere a mia mamma i voti terribili della persona sopra di me in elenco, non ricordando (dopo quasi 2 anni insieme) chi diavolo fossi e quanto bene andassi nelle sue materie.
Del tipo: ma che strano che Valentina abbia tutte queste insufficienze, controlliamo meglio... E invece no: signora, sua figlia è insufficiente in latino, prenda provvedimenti.
Ma in quel momento vi giuro che non me ne fregava assolutamente niente (nel senso che questi episodi non diventavano battaglie da combattere, mi bastava sapere di avere ragione), non mi importava che non mi vedessero (non li vedevo nemmeno io) e mi rendevo perfettamente conto che i ragazzi meritevoli di attenzioni speciali erano altri.
Nessun problema, investite pure su di lui (o su di lei), salverà il mondo, io ho altro da fare.
(Per la cronaca, il giorno dopo sono andata da lui e gli ho detto: guardi che ha sbagliato riga e lui ha risposto, ah sì ok, lo dici tu a tua mamma? FINITO. Nessuno ha preso a pugni nessuno).
Consapevolezza di non essere speciale.
A volte mi chiedo se i professori si rendessero conto di quanto poco sapessero davvero di noi.
Si rendevano conto se eravamo innamorati o arrabbiati, ma soprattutto di chi o con chi? Perché la formazione avviene anche (e soprattutto) fra le pieghe di quei momenti.
Lo sappiamo tutti che poi diventiamo altro, che gli adolescenti che siamo stati non dicono proprio tutto degli adulti che siamo oggi, ma diciamo che quel punto di partenza è decisamente importante. E in quella partenza c'erano anche le amicizie, gli amori, le delusioni, i due di picche e le litigate furiose oltre alla trigonometria e all'aoristo passivo. E con ogni probabilità, tutto accadeva per la prima volta.
Forse i professori sulla base di quei 5 anni hanno un po' la presunzione di sapere che ne sarà di noi e magari anche di essere un tassello importante del percorso; è stimolante per loro crederlo, forse gli regala anche uno scopo nella vita, ma sappiamo tutti che a 15 anni non sai niente e tutto deve ancora succedere, figurati se lo sanno loro! Si trovano all'inizio del percorso e credono di sapere come sarà l'arrivo.
Eppure, nonostante tutto questo, quei 5 anni restano.
Restano come cornice, come base in cui sono nate le prime versioni di noi stessi. .E quindi magari sì, è vero che i professori non potevano sapere davvero chi saremmo diventati, ma è anche vero che ci sono stati mentre stavamo diventando.
E in tutto questo, noi ci ricordiamo bene di loro, loro probabilmente ci hanno sostituiti con il ciclo successivo, conservando la memoria solo di alcuni, quelli che erano stati in grado di valorizzare il loro lavoro.
- agosto 07, 2025
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